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SARÒ FRANCO
Appunti, pensieri, riflessioni
di Franco Cerri con Pierluigi Sassetti
Arcana Musica - pp. 192
Prefazioni di Pupi Avati, Giampiero Boneschi e Jim Hall
Contiene - inserto fotografico in b/n
vai al sito dell'editore per i dettagli
CERRIMEDIOATUTTO
CD and LP
FRANCO CERRI
Autore: A. Ongarello
Editore: Carish
Antonio Ongarello e Claudio Fasoli
presentano il libro su Franco Cerri
Franco Cerri e Antonio Ongarello in Gen Gen
E venia da' campi che di Cerri sentia
Bossa with strings
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a Twilight
su RAI RADIO 2
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dell'intervista (dal 17'30")
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of the interview (from 17'30")
BIOGRAFIA - BIOGRAPHY
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Intervista per la RAI nel 2009
Intervista per Cortina Incontra 2009
Franco Cerri ed Elda Olivieri
- 'LA MUSICA' -
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Intervista radiofonica nel 2010
per ogni approfondimento sulla vita e la musica di Franco Cerri, si segnala il libro:
"
Franco Cerri - in punta di dita
" (book+CD)
scritto da
Vittorio Franchini
Pensieri in parole...
Insieme sul palcoscenico
di Franco Cerri
www.erikaleonardi.it
“La musica è una legge morale; essa dà l’anima all’universo, ali al pensiero, slancio all’immaginazione, fascino alla tristezza, impulso alla gioia e vita a tutte le cose”. Non sono parole mie, ma di Platone, che condivido in quanto sono molto vicine al mio amore per la musica. La musica è quell’impalpabile materia che è dentro di noi. Fa parte del nostro corpo. Ne abbiamo bisogno come del mangiare, del bere o del dormire. E’ l’unica medicina che non ha controindicazioni! Per me, è da sempre, insieme alla famiglia, il costante piacere della vita. E nelle esperienze in cui ho proposto con Erika Leonardi il jazz come metafora per l’azienda, ho scoperto nuovi aspetti di questa mia passione datata da lungo tempo. Era il 1945: la fine della guerra e il jazz in Italia era tabù. Si potevano ascoltare vecchi dischi americani e poche registrazioni italiane. Iniziai la mia professione musicale con Gorni Kramer, il quartetto Cetra, Natalino Otto e altri gruppi da ballo e da intrattenimento. All’epoca, nei locali e negli alberghi le orchestre avevano ingaggi della durata di ben due ed anche tre mesi. Oggi è molto diverso! Se quella continuità lavorativa si potesse riproporre, si favorirebbe la formazione di gruppi stabili, il che darebbe origine ad un salutare affiatamento, una maggiore dimestichezza con lo strumento e quindi una crescita professionale! Cosa sta accadendo invece? I concerti a volte hanno luogo con musicisti differenti, salvo qualche caso fortunato, e, sempre più frequentemente, si va in scena senza neanche aver provato! Ma questi cambiamenti non intaccano il mio amore per il jazz. Il suo fascino è legato al fatto che è un linguaggio che si distingue per la libertà di cui vive, per l’immediatezza della sua creazione, per il modo di accentuarlo e ritmarlo. Possiamo considerare il “jazz” come una etichetta sovrapposta a vari prodotti musicali. Infatti, il jazz di Louis Armostrong è ben diverso da quello di Dizzy Gillespie, così come il modo di suonare espresso da Benny Goodman non ricorda il linguaggio di Charlie Parker, né ci porta nel mondo musicale di John Coltrane. Cambia la società, cambiano le mode, la tecnologia avanza e anche nel mondo del jazz gli stili mutano, il che, però, non sempre genera evoluzione. È pur sempre jazz. In ogni caso protagonista è l’improvvisazione. Per il musicista si tratta di suonare un’insieme di note non scritte e inventate al momento, che devono essere coerenti con il brano. Per poterlo fare deve avere una buona conoscenza dell’armonia e sapere dare un senso melodico all’improvvisazione. Quando improvvisa esprime se stesso. Grazie alla preparazione e allo stato d’animo del momento, emergono le caratteristiche individuali: pur avendo le stesse nozioni, ognuno suonerà in modo differente. La preparazione culturale consente al musicista di esplorare in profondità i contenuti dei brani da eseguire. La buona conoscenza dello strumento gli permette di tradurre in musica il proprio mondo interiore. La creatività caratterizza la sua vena espressiva, esalta il suo estro e la perizia nel comunicare. Altra caratteristica della nostra musica è lo swing. Cos’è? Difficile da definire. È una maniera impalpabile, propria del jazzista, di vivere i vari fraseggi, sincopandoli, pronunciandoli, interpretandoli, a seconda del momento, in modo teso o disteso. Suonare con calore non significa suonare con swing, così come conoscere la musica non basta per essere buoni musicisti. Lo swing non si impara! È una dote naturale, infatti musicali si nasce, musicisti si diventa. E poi c’è l’impatto con il pubblico e le conseguenze che ciò comporta: la scelta del repertorio, la successione dei brani, l’acustica, il suono, la timbrica, l’estetica, l’emotività. E tante altre sensazioni ed emozioni che, in fondo, fanno del palcoscenico una luogo da cui un monologo che vorremmo diventasse dialogo. Negli spettacoli / formazione di “Azienda in Jazz” abbiamo avuto davanti un pubblico, che però era diverso da quello mio solito. Non sono mancate neanche qui le emozioni, e mettere insieme la musica jazz con i temi dell’azienda è stata una continua scoperta. Siamo sempre riusciti a dare al pubblico tante emozioni. Prima di andare in scena abbiamo sempre ragionato a lungo sulla scaletta. Dovevamo riuscire ad alternare musica e parole in modo convincente. E se l’affiatamento fra noi del quartetto era un qualcosa di consolidato, integrare gli interventi di Erika Leonardi, era qualcosa di molto diverso. Ci siamo riusciti con grande soddisfazione di tutti: nostra e del pubblico! Nei preparativi di uno degli ultimi interventi non ho esitato a definirci un quintetto: io, Toni Arco alla batteria, Michele Di Toro al pianoforte, Lucio Terzano al contrabbasso ed Erika a raccontarci come il jazz possa coinvolgere il mondo del lavoro! Abbiamo offerto al pubblico le nostre emozioni, e abbiamo avuto risposte molto forti, che ci hanno permesso di capire quanto le persone abbiano apprezzato questo nuova chiave di lettura del proprio lavoro, che li può aiutare a migliorare qualcosa che hanno già dentro. Il nostro entusiasmo è stato contagioso: è come aver acceso delle lucine nuove in chi ci stava a sentire. Di fatto abbiamo improvvisato: c’era un arrangiamento musicale ma anche di parole. E su questo ognuno di noi ha sempre aggiunto qualcosa di personale ed originale, per proporre al pubblico nuovi spunti per arricchire il messaggio di una nuova energia per il proprio lavoro, sulla scia di quello che accade quando suoniamo. E coniugare l’azienda con il jazz è stata una felice scoperta. E ancor di più adesso, dopo queste esperienze di “Azienda in Jazz”, continuo a credere che fare musica sia il risultato di esperienza e sensibilità, un modo per condividere con altri ciò che abbiamo nella testa e nel cuore.
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